C’ero una volta io,
ma non andava bene.
Mi capitava di incontrare gente per strada e di scambiarci due parole, e per un po’ la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava sempre il momento in cui mi si chiedeva
“Chi sei?”
e io rispondevo
Sono io”,
e non andava bene.
Era vero, perché io sono io, è la cosa che sono di più, e se devo dire chi sono non riesco a pensare a niente di meglio.
Eppure non andava bene lo stesso:
l’altro faceva uno sguardo imbarazzato e si allontanava il più presto possibile.
Oppure chiamavo qualcuno al telefono e gli dicevo
Sono io”,
ed era vero, e non c’era un modo migliore, più completo, più giusto di dirgli chi ero, ma l’altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava.
Così mi sono dovuta adattare.
Prima di tutto mi sono data un nome,
e se adesso mi si chiede chi sono rispondo:
Maya Graphic”.
Non è un granché, come risposta: se mi si chiedesse chi è Maya Graphic probabilmente direi che
sono io.
Ma, chissà perché, dire che sono Maya Graphic funziona meglio.
Funziona tanto bene che nessuno mai mi chiede chi è Maya Graphic: si comportano tutti come se lo sapessero.
Invece di chiedermi chi è Maya Graphic
gli altri mi chiedono dove e quando sono nata, dove abito, chi erano mio padre e mia madre.
Io gli rispondo e loro sono contenti.
E forse sono contenti perché credono che io sia quella che è nato nel posto tale e abita nel posto talaltro, e che è figlia di Tizio e di Caia e madre di questo e di quello.
Il che non è vero, ovviamente: non c’è niente di speciale nel posto tale o talaltro, o in Tizio o in Caia.
Se fossi nata altrove, in un’altra famiglia, sarei ancora la stessa,
sarei sempre io:
è questa la cosa che sono di più, la cosa più vera e più giusta che sono. Ma questa cosa non interessa a nessuno: gli interessa dell’altro, e quando lo sanno sono contenti.
Una volta c’ero io,
e non andava bene.
Adesso c’è Maya Graphic, che è nato a X e vive a Y e così via.
E io non sono niente di tutto questo,
ma le cose vanno
benissimo.